Il Disturbo da Stress Post-traumatico: un caso clinico

Incontro la signora A. M. per la prima volta nel febbraio del 2015. Su sollecitazione del marito e dei figli, ha deciso di chiedere aiuto perché si sentiva molto demotivata e priva di energie. Da diversi mesi viveva una condizione di disagio, ma solo a distanza di un anno decide di chiedere aiuto perché pensava che il tempo potesse attutire il dolore ma così non è avvenuto, anzi lei stessa percepì un peggioramento nei mesi. “Sto male per un fatto che mi è accaduto diversi mesi fa”, questa è la frase con cui inizia il racconto dell’evento che sarebbe all’origine del suo malessere… A. M. raccontò quanto la preoccupasse, descrivendo con intensa vividezza emotiva l’evento in cui venne a mancare il padre, riferendo: “ho pensato che tutto può stravolgersi da un momento all’altro indipendentemente dal fatto che si possa o meno essere preparati al cambiamento”. Ciò che la preoccupava era la sensazione di pericolo divenuta via via sempre più intensa e che andò a compromettere il suo funzionamento sociale. In lei erano infatti presenti sia sintomi di ansia che anedonici; si mostrava costantemente preoccupata per le dinamiche che tale evento avrebbe scatenato all’interno della sua famiglia d’origine ed era presente un persistente stato d’animo negativo, caratterizzato da rabbia, colpa e vergogna. In A. M. era anche evidente una marcata riduzione di interesse o partecipazione ad attività precedentemente piacevoli quali, guardare la televisione, uscire a far visita agli amici o leggere un libro. Gli inviti venivano, ad es., categoricamente rifiutati a distanza di mesi dall’evento traumatico.

Dagli incontri effettuati con A. M. e inseguito ad un accurato assessment, fu possibile fare diagnosi di Disturbo da Stress Post-Traumatico. Un sintomo peculiare del DSPT è la tendenza a rivivere di continuo l’evento traumatico, attraverso immagini, pensieri e sogni spiacevoli durante i quali si ripete l’evento. Vi è,  inoltre, la tendenza da parte dell’individuo ad evitare pensieri, persone o luoghi che in qualche modo rievocano il trauma, comportando un’aumentata reattività fisiologica. In A. M. vi era la tendenza continua a rivivere attraverso ricordi la scena avvenuta in camera da letto, ma al tempo stesso la volontà di volersi liberare di tali immagini che le procuravano grandi sensi di colpa e sofferenza. Gli evitamenti riguardavano non solo i ricordi, ma anche persone che conoscevano il padre e luoghi e conversazioni che potessero suscitarle emozioni e sentimenti negativi.

Il processo terapeutico condotto con A. M. si caratterizzò di momenti importanti e decisivi per il trattamento: la gestione del primo colloquio e la costruzione di un’alleanza terapeutica considerato il notevole peso emotivo che si portava alle spalle;  il ripercorrere importanti eventi familiari che le hanno fatto comprendere le conflittualità e le dinamiche presenti nella sua famiglia di origine, e di cui solo in terapia è riuscita a prenderne piena consapevolezza. È grazie a questo che la paziente ha iniziato ad elaborare diverse teorie sui motivi di quel gesto che ha portato alla morte del padre, riducendo notevolmente i suoi sensi di colpa. Inoltre, comprendere il meccanismo sottostante al circolo vizioso che alimentava il DSPT e tutti i pensieri disfunzionali che la distruggevano emotivamente ha nettamente contribuito a far sentire la paziente parte attiva del processo di cambiamento, rendendola più collaborante nel proseguimento della terapia. La terapia cognitiva e comportamentale, è ad oggi tra le più raccomandate dalla comunità scientifica per il trattamento del disturbo post traumatico da stress. La TCC utilizza metodi che permettono di gestire lo stress, l’ansia e altri sintomi del disturbo mediante  un lavoro combinato tra ristrutturazione cognitiva e tecniche comportamentali. Alla base dell’intervento: il confronto con le situazioni temute, attraverso tecniche espositive durante le quali la persona viene gradualmente introdotta nelle situazioni oggetto di stress (in immaginazione o in vivo).

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