Non tutte le mamme hanno il talento di trasformare la vita dei loro figli in percorsi di felicità

L’INFANTICIDIO E LE MEDEE DELLA NOSTRA SOCIETA’

Il primo agosto scorso un neonato è stato trovato morto nella busta di plastica abbandonata dalla madre dietro a un’aiuola che costeggia il parcheggio di un supermercato di Borgo Rivo, nell’immediata periferia di Terni. Il 16 novembre ad Aosta una donna di 48 anni nel borgo di Aymavilles ha praticato un’iniezione letale ai suoi due figli di sette e nove anni e si è tolta la vita; il 03.12.18 a Catania la polizia arresta una 26enne per l’omicidio del figlio di tre mesi, che avrebbe scaraventato a terra a casa, affermando di avere la mente oscurata….

Sono tutte madri. Tutte donne – Medee che hanno affrontato il gesto estremo dell’infanticidio, spesso a causa di patologie psichiatriche che si radicano durante e dopo la gravidanza. Si tratta spesso di madri giovani, immature, sole e vulnerabili, che purtroppo non hanno chiesto aiuto o non ne sono state capaci, e che nessuno è stato in grado di comprendere e aiutare. Per una comprensione profonda del problema, trovo essenziale fare un excursus storico del ruolo di donna e del ruolo di madre. Bisogna ricordare che già dalle origini della democrazia moderna, troviamo le radici della esclusione femminile dai diritti politici, accanto al nuovo modello culturale della donna sposa e madre esemplare; Jean Jeach Rousseau teorizzò l’ineguaglianza tra i sessi e l’esclusione femminile dalla scena politica, tratteggiando una donna destinata a svolgere un ruolo tutto domestico: «la funzione della donna è quella di essere madre». Da allora e nel corso dell’800 l’educazione diviene la funzione sociale della donna e alla donna si affida il ruolo di educatrice e moralizzatrice della famiglia e della società. Per la sua aspirazione al sacrificio e alla gentilezza derivanti dall’istinto materno è sempre stata considerata naturalmente madre, maestra e benefattrice. Un comportamento criminale come l’infanticidio, sembra violare un assunto su cui si basano le sicurezze profonde dell’essere umano, ovvero la “naturalità dell’amore materno”, assoluto e immodificabile nel tempo. Ci si chiede, però, se davvero gli affetti possiedano questo automatismo istintuale che viene loro attribuito dal senso comune ed anche da una parte non irrilevante della letteratura giuridica. L’attaccamento tra madre e figlio sembrerebbe essere dunque il legame affettivo che più si radica naturalmente nella matrice biologica degli umani, sappiamo, però, anche che cultura e necessità economiche prevalgono sull’istinto biologico. La “necessità” della relazione madre/figlio viene ricordata e sottolineata quando si verificano crimini come l’infanticidio e si cerca nella psicologia una interpretazione che possa spiegarne il senso, quasi sempre rintracciato nella patologia individuale. In letterature sono descritte alcune tipologie di madri, provo a descriverne alcune:

Labattering  mothersè solita abusare dei figli ed in particolare usare la violenza fisica in modo adeguato, sadico e crudele. Queste madri, in seguito a una stimolazione del giovane figlio (ad esempio urla, pianti ecc) vanno incontro ad un improvviso, rapido e impulsivo agito aggressivo per cui possono percuotere il figlio con un oggetto contundente, soffocarlo, accoltellarlo, defenestrarlo ecc.

Vi sono madri che non sono in grado, o non vogliono vestire in modo adeguato alla temperatura il proprio bambino, portarlo dal medico, provvedere a nutrirlo in modo efficace e continuo. Si tratta di madri che non sono in grado di affrontare la loro funzione materna (coping maternel) nel provvedere alle necessità fondamentali e vitali del bimbo. Queste madri, per ignoranza, incapacità personale, insicurezza, scelta deliberata ecc. sono delle madri che non riescono più a vibrare in modo naturale ai bisogni del neonato, ma cominciano a vivere le esigenze del figlio come qualcosa di strano, di minacciante, di estraneo che complica e rovina in modo drammatico la loro vita.

Talvolta la madre può uccidere il figlio per vendicarsi dei torti reali, o presunti, subiti dal marito. Con l’ uccisione del figlio la madre cerca di arrecare così un dispiacere al proprio compagno. Questa dinamica è nota sotto il nome della “Sindrome di Medea”: Medea è infatti la più famosa figlicida che, dall’antica storia greca sia giunta fino ai nostri giorni. Quest’ultima, secondo il mito, esperta in arti magiche, fugge con Giasone dopo aver abbandonato la famiglia di origine ed avere ucciso suo fratello Aspirto. Giasone, però, minaccia di abbandonarla per un’altra donna ed allora Medea uccide i due figli che aveva avuto con lui allo scopo di vendicarsi del tradimento di Giasone, che aveva in progetto di abbandonarla dopo che lei aveva rotto tutti i vincoli con la figlia e anche violato le norme più sacre uccidendo il fratello. Sotto il profilo psicoanalitico, i figli possono essere stati uccisi da Medea non solo perché si interrompe la linea di discendenza di Giasone, ma anche per il desiderio di realizzazione allucinatoria del possesso totale dei propri figli, estromettendo il padre. I figli di Medea diventano così un bene materiale di Medea a cui ella nel suo “sentimento di onnipotenza” ha dato la vita, ma cui ella può anche togliere la vita. La spada con cui Medea trafigge i figli potrebbe significare la tipica rappresentazione del fantasma di una “madre fallica”, mascolina, aggressiva, vendicativa. Queste madri vendicative presentano in genere disturbi di personalità con aspetti aggressivi, comportamenti impulsivi, tendenze suicidarie e frequenti ricoveri in ospedale psichiatrico. Inoltre le loro relazioni con i compagni sono spesso ostili, caotiche.

Esistono madri che uccidono in modo attivo, deliberato e cosciente il loro figlio perché non era desiderato. Sono madri che non hanno desiderato la gravidanza e spesso il figlio non voluto ricorda loro momenti molto infelici e penosi della propria vita. Si tratta spesso di madri che presentano tratti di personalità impulsivi ed antisociali, con una storia personale di comportamenti devianti, di abuso di droghe o alcool.

Vi sono poi delle madri, che ritengono nella loro percezione, che i figli abbiano rovinato totalmente, drammaticamente ed ineluttabile la loro esistenza. Queste madri hanno la percezione che il loro figlio abbia sformato attraverso la gravidanza il loro corpo, le abbia condizionate a vivere in un ambiente a loro non gradito, le costringa ad accettare un compagno che non amano oppure a vivere infelici col compagno che amano. Queste donne, ritengono che il bambino sia la causa unica e drammatica del loro percepito fallimento esistenziale.

Vi sono madri che uccidono o lasciano morire il neonato nell’immediatezza del parto. In genere si tratta di madri molto giovani di età, che non hanno una situazione sociale chiara e definita col compagno, che è in genere una persona più adulta che dopo averle messe incinte le abbandona. Queste madri hanno spesso una forte dipendenza dai legami familiari, presentano caratteristiche personali di immaturità, tratti regressivi, infantili, narcisistici. Tali madri presentano spesso la caratteristica di negare, in modo isterico, la loro gravidanza. Sono madri che tendono a partorire da sole, in situazioni non gestite da specialisti, (medici e/o ostetriche) ed in condizioni clandestine.In alcuni casi di infanticidio, la madre decide di uccidere il figlio unicamente per non farlo più soffrire da malattie reali. Un’altra causa diffusa sottesa al delitto di infanticidio è la “Sindrome di Munchhaisen per procura”, propria di quelle madri che provocano nel figlio lesioni spesso gravi, che simulano delle malattie al fine di ottenere, in modo particolare, l’attenzione da parte del medico. Queste madri somministrano di nascosto dei farmaci, o sostanze dannose alla salute, sino a poter causare veri e propri avvelenamenti del figlio. Le madri affette dalla “Sindrome di Help Seekers” si differenziano da quelle affette dalla Sindrome di Munchhausen, in quanto la ricerca delle cure è più saltuaria, la patologia indotta è meno grave ed è motivata da un preciso bisogno della madre che necessita di un sostegno da parte di medici, infermieri, assistenti sociali ecc.., nell’allevamento del bambino (ad esempio la madre richiede aiuto esterno per difendere il bambino dalla presenza di un padre violento).   Trovo fondamentale evidenziare il valore di una prevenzione attuabile in gravidanza e nei primi giorni di vita del bambino, mediante un lavoro integrato tra medici, psicologi, ostetrici e proporre un supporto psicologico laddove il semplice sostegno dell’ambiente circostante non basti. E’ vero che oggi vi sono molti vantaggi, un tempo assenti, e che la donna può usufruire di numerose attività e tecniche che facilitano un buon decorso della gravidanza, tuttavia ciò che spesso emerge è che i centri che propongono tali attività sono ancora poco visibili ed esterne alle strutture ospedaliere. E’ sempre necessario un monitoraggio costante soprattutto nelle situazione in cui si evince maggiore disagio, vulnerabilità e fragilità.

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